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Perché i poveri che smettono di essere poveri amano calpestare i poveri?

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Accade ogni giorno, lo vediamo in ogni ambiente, in ogni settore: i poveri che smettono di essere poveri, amano calpestare i poveri.

Ed è triste prenderne atto laddove ci si aspetta di vedere atteggiamenti di maggior comprensione, spirito di immedesimazione. Di unione.

È questa una riflessione che mi fermo a fare spesso, o uno o più gradini della scala sociale, dimenticare rapidamente gli anni trascorsi in povertà.

Dimenticare rapidamente che loro stessi, un tempo non lontano, hanno subito lo stesso disprezzo con cui oggi investono i più poveri.

Ho visto persone lasciare quartieri popolari poverissimi e criticare con alterigia il degrado degli stessi.

Le ho udite poi parlar male di quelli che erano stati i “cari vicini”.

Ho visto un uomo, dopo aver acquistato la sua prima auto da pagare in sessanta rate, ridere di coloro che aspettavano l’autobus sotto la pioggia.

Quello stesso autobus che in un passato affatto remoto, prendeva tutti i giorni per andare a lavoro.
Anche nei giorni di pioggia.
E senza ridere.

Ci sono persone che lamentano il comportamento autoritario e sprezzante del loro capo, ma che poi non esitano a trattare scortesemente chi svolge attività più umili.

C’è il giovane uomo che dopo essere riuscito a raggranellare un po’ di denaro per portare fuori a cena la sua fidanzata, si sente ricco per una sera, ma si sente anche in dovere di trattare con arroganza il cameriere.

C’è il medico di umili origini che ha dimenticato i sacrifici che hanno fatto i suoi genitori per farlo studiare, che ha dimenticato i suoi stessi sacrifici per portare a termine gli studi. Oggi guarda dall’alto in basso i malati più umili e i loro familiari.

È già triste e incomprensibile vedere chi è nato ricco trattare i poveri come persone di seconda classe, ma vedere le persone che hanno conosciuto la povertà vestirsi di arroganza e prepotenza, è qualcosa che probabilmente non capirò mai.

È come se il povero debba necessariamente fungere da contraltare per chi è riuscito a migliorare la propria posizione.

Eppure da poveri sono stati sfruttati, maltrattati. Hanno sperimentato l’esclusione e i pregiudizi contro la povertà sulla loro stessa pelle.

Probabilmente hanno sempre pensato che chiunque si trovi al di sopra, cammini su chi è in basso e nel momento in cui sono riusciti a salire qualche gradino, hanno iniziato a camminare allo stesso modo. Calpestando.

È una spiegazione plausibile. Ma la plausibilità non prevede la bontà dell’atteggiamento. Non lo giustifica.

Non comprenderò mai e ripudio oggi come ieri, qualsiasi atto che supponga la superiorità o l’inferiorità di qualcuno. Chiunque esso sia.

Il rispetto e la dignità altrui sono diritti inviolabili!
Quale società può definirsi moderna e civile quando questi diritti vengono misurati in base a ciò che si possiede?

A cosa serve parlare quattro lingue se non sappiamo scambiare un buongiorno con chi prende l’ascensore insieme a noi?

A cosa serve aver accumulato se non siamo più capaci di condividere e di provare quella gioia e quella fierezza che solo la condivisione può portare?

La ricchezza non rende nessuno migliore di un altro.
La vera superiorità non può essere acquistata, ma nasce dentro di noi.

Una persona veramente superiore sa che la grandezza di un uomo non si misura in base al successo che ha ottenuto, alla ricchezza che ha accumulata.

Si misura in base alle azioni che compie e alla nobiltà del suo animo.

Vi lascio con un pensiero…
potrebbe suonare come una sorta di ammonizione, ma ritengo importante farne una nostra memoria:

“Il male mette radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore di un altro.”
( Joseph Brodsky)

Ma a proposito di pensieri: conoscete gli oggetti che attirano l’energia maligna in casa nostra?

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